L’ALLENATORE NEL PALLONE (SGONFIATO)

Dopo ventiquattro lunghi anni il ritorno di Oronzo Canà

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Oltre alla Longobarda Canà ha salvato in corner sè stesso. Ma poc’altro merita l’assoluzione nel sequel più atteso della storia del cinema italiano. Forse il destino segnato del film era misurare il suo gap da quel capolavoro che è stato il primo episodio (anche se non sta scritto da nessuna parte che il remake non può essere all’altezza, vedi Fantozzi), ma il divario in questione è stato per certi versi davvero imbarazzante, nel senso che non pareva difficile incastrare le varie componenti comiche, che pure non sono mancate, in maniera da rendere la trama più vivace e interessante. A rendere gli eventi poco scorrevoli, ad esempio, il macchinoso rifacimento dell’accordo saltato in un dialogo tutto di doppi sensi (il mancato acquisto di Luca Toni in luogo del pareggio combinato con la Fiorentina di De Sisti), la confusa azione della mafia russa nella dirigenza della beneamata Longo, incerta quanto la scoperta del fenomeno brasiliano Caninho, neanche lontana parente dell’entrata in scena di Aristoteles in quell’entusiasmante viaggio in Brasile, con l’immaginario collettivo di ogni tifoso del tempo in piena febbre verdeoro subito dopo la riapertura delle frontiere.
A galleggiare, dunque, un Pasquale Zagaria attempato che, nonostante privato dalla carta d’identità (72 anni) di quella vivacità fisica necessaria al giovane Canà per danzare sull’impermeabile ad ogni esultanza, resta sempre di valido intrattenimento con i vari “porca puttena” e affini. Per il resto, principalmente un problema di assemblaggio: divertente la scena del funerale dell’attaccante iettatore Crisantemi, forse la migliore quella del capostazione da sembianze e voce inconfondibili di Lucky Luciano, discrete anche le comparse dei campioni in un mestiere che non è il loro. Di basso profilo il ruolo di Anna Falchi, perchè l’ultrà è affamato di football e non basta un fisico mozzafiato per lasciare il segno in un film come questo; pressochè inutile la presenza di Aristoteles, per il quale si poteva studiare una parte più sostanziale. Di cattivo gusto l’invadenza degli sponsor: passi per la Gazzetta dello Sport e la mignon del Caffè Borghetti, ospite fissa delle curve fino a metà anni ’80, ma fuori luogo quella di Alice Telecom ed ossessionante la ridondanza dell’Estathe Ferrero.
Dunque, a tirare le somme i romantici possono ritenersi soddisfatti anche dal solo ritorno in panchina del mitico Canà, lieti di rivederlo come se fosse un amico di vecchia data. Ma per favore, se non si può fare di meglio lasciate in pensione il Commissario Lo Gatto.

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