In uscita in questi giorni e presentato giovedì al Centro Culturale San Secondo il romanzo d’esordio dello scrittore astigiano Gian Luigi Rossetti: “Hanno impiccato Titti”, edito da Edizioni Joker.
E’ la storia di Federico, impiegato amministrativo ed aspirante scrittore in una Asti deviata da un nuovo modello di società che importa valori nei quali il protagonista non si ritrova. E così, in un divertente intreccio di episodi che vede coinvolti personaggi strampalati al fianco dei più classici stereotipi, il tutto condito da acuti rimandi musicali e cinematografici, viene fuori un parallelo tra la vecchia e intorpidita città degli anni ’80 e quella globalizzata e materialistica dell’ultimo decennio, parallelo che ne tocca, con estrema lucidità, simboli e luoghi: ad esempio, non esiste più il non plus ultra istituzionale qual
era la Caserma Colli di Felizzano, trasformata in un insignificante parcheggio. Neanche la vecchia maternità, dalla quale per cinquant’anni gli astigiani hanno volto il loro primo sguardo verso il mondo, sta più nel suo tradizionale feudo di via Duca D’Aosta, inglobata oggi nel pomposo e appariscente Cardinal Massaia che si è pure arrogato il diritto di cancellare il campo sportivo del Don Bosco, sul quale centinaia di ragazzini hanno coltivato i propri sogni di gloria. Trasferito, per ragioni di fatturato, anche il pacato Festival delle Sagre da Piazza Alfieri all’Ex Campo del Palio. E poi c’è il crescente traffico, smorzato dal proliferare di rotonde imbruttite da monumenti degni della galleria degli orrori; c’è il precariato del nuovo call center in zona industriale, c’è il Borgo, tempio del consumismo galoppante e ci sono le prostitute che dalle periferie si spingono fino alle zone più centrali…
– Gian Luigi, parlaci di Federico, il protagonista, classico antieroe dei giorni nostri, bistrattato dai personaggi che gli stanno vicino proprio perché macchiato dal peccato originale di non sapersi adattare alla mentalità e all’ambiente sociale circostante.
– Federico non si sente amato prima di tutto perché non riesce ad amarsi. E così, per esempio, i commenti dell’ambiguo datore di lavoro assumono sfumature fortemente derisorie anche quando non lo sono. Chi ci va giù pesante è Frida, l’ex moglie, perché Federico non è stato in grado di vestire i panni del buon maritino fino in fondo. Certo si sente tradita, ma è anche il suo grillo parlante, la voce della coscienza di Federico che alcune cose non vuole ammetterle nemmeno a se stesso.
– Come vede Federico la Asti dei giorni nostri, meglio o peggio di quella della sua adolescenza?
– La Asti di oggi gli somiglia poco. Tutt’intorno a sé vede cambiamenti sociali che non apprezza. Ad esempio, attualmente i soldi sono meno ma la propensione alla spesa, al consumo di beni voluttuari è notevolmente aumentata: i bar, le gelaterie, le pizzerie, i locali anche fuori città sono cresciuti in maniera esponenziale. Nonostante non vi siano più mille militari in giro: in settimana, c’erano solo loro a tenere vivo il centro, i locali e gli spazi pubblici. Si era ricchi ma si faceva i poveri, ora la situazione è diametralmente opposta. Forse anche questa è globalizzazione. Tornando a Federico, anche quella della sua fanciullezza, o della sua adolescenza, non era certo la città ideale, ma con tutte le contraddizioni del caso, la sentiva più sua. Poi si sa che la memoria è ingannevole… e i conti con se stesso Federico ha iniziato a farli forse troppo tardi.
– Federico, maliconicamente e inevitabilmente, soffre, si dimena, cerca un occupazione più gratificante rispetto a quella di modesto impiegato. Vede, però, uno spiraglio nella metafora dell'”uomo nella buca”: un operaio che nonostante il lavoro infimo trova le energie per affrontare la vita con un pizzico di ottimismo.
– Più che di ottimismo parlerei di serena consapevolezza. Federico deve riuscire a tendere verso l’idea che la vita, con le sue bellezze e le sue troppe miserie, bisogna accettarla così com’è, prima ancora di sapere veramente se la si potrà cambiare. Non si tratta però di una facile arrendevolezza, di inerme fatalismo, perché poi è doveroso provarci.
– Consigliato dalla sua guida spirituale, l’amico per certi versi misterioso, Pietro Pacifico, il protagonista, alla resa dei conti con le sue ambizioni, intende isolarsi dal resto del mondo reale per dedicarsi totalmente alla sua passione, alla sua scommessa: la stesura finale del romanzo a cui da tempo si dedica, alla ricerca del successo e della propria autostima.
– E’ il valore dell’amicizia che spero emerga in questo episodio. Il tuo amico che ti da la sua casa, è anche una metafora per dire che ti accoglie dentro di sé. E la Chiavari del penultimo capitolo è idealizzata a sostegno di quest’idea, come le giornate di Federico, che ogni mattina ha finalmente la libertà di autodeterminarsi perché sciolto dal dovere imposto dalle necessità del quotidiano, che un po’ ci ingabbia tutti quanti. E’ isolato sì, ma se fosse veramente solo, senza amicizia, non potrebbe scegliere di esserlo.
– Federico riconosce che è impossibile sottrarsi alla realtà dei fatti della vita, realtà personificata da Sara, una giovanissima ragazza impiegata in un call center.
– Il romanzo vive di crisi, a tratti paradossale, spero anche divertente, ma di crisi. Sara lo chiama fuori dal tunnel, ma la strada Federico non può che percorrerla con le sue forze.
– Dunque, Gian Luigi, Titti, simbolo della spensieratezza della vita, è davvero morto o è solamente in letargo?
– Titti la sfanga comunque, c’è sempre una mano, quasi uno sprazzo di trascendenza, che lo trae in salvo. Nel nostro mondo, purtroppo, non funziona così. L’uomo della buca però il miracolo lo compie, e se Federico anche ci proverà, forse la vita, Sara, lo aspetteranno.
– “Hanno impiccato Titti” è un romanzo nel romanzo: può essere considerato anche una guida alla scrittura?
– Sarebbe pretendere davvero troppo. Il romanzo di Federico è tante cose. Mi è servito come magazzino per stiparci dentro dati autobiografici altrimenti troppo ingombranti, per avere altrove le mani più libere. E’ uno specchio per gli stati d’animo di Federico, ma anche la loro cura. Infine, è anche, per certi versi, un piccolo diario di bordo del romanzo vero a proprio.
– Gian Luigi, quanto c’è effettivamente, quindi, di autobiografico nel libro?
– La sensibilità di Federico verso le persone, il suo modo di posare lo sguardo sulle cose, certamente sono simili ai miei. Ma io in quanto autore, mi sono messo nei panni del narratore, che nonostante il frequente ricorso al discorso libero indiretto e la rinuncia a palesarsi, rimane distinto dal protagonista e quindi dagli altri personaggi.
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